“Bottoni” di poesia: Stefano Raimondi al Bottoni

Milano di luce e acciaio, cemento e giardini segreti: è la città che ispira Stefano Raimondi, poeta e critico letterario che le classi quarte hanno avuto il piacere d’incontrare nell’Auditorium del nostro Liceo, nella mattina di venerdì 29 aprile.

Stefano Raimondi ha pubblicato molte raccolte, tra le quali: Invernale (Lietocolle, 1999), La città dell’orto (Casagrande, 2002; Premio Sertoli Salis 2002), Il mare dietro l’autostrada (Lietocolle, 2005), Il cane di Giacometti (Marcos y Marcos, 2017) e Il sogno di Giuseppe (Amos, 2019). 

È tra i fondatori della rivista di filosofia “Materiali di estetica”, tiene corsi di scrittura e svolge l’attività di editor presso Mimesis edizioni.

È anche autore dell’opera Soltanto vive: 59 monologhi di donne che sono state segnate dalla violenza, ma hanno cercato una via di salvezza e riscatto proprio attraverso le parole. E con “parole – pistole” (per citare un’altra poetessa, Patrizia Valduga) o parole come schiaffi, il poeta ha aperto il suo intervento.

«Lo sapevo fin dall’inizio che eri così: sapevo la tua rabbia, la tua forza, il tuo rivedere tutto a specchio dentro uno schiaffo, un calcio. Sapevo delle interruzioni, dei vuoti, degli sputi tra i tuoi, creati come niente, come baci infetti dentro un niente che allontana: tolti piano come ai morti. Lo sapevo, sì, lo sapevo dall’inizio e mi dicevo: “Sì, con me sarà diverso; sì, con me cambierà”. Tocca a me ora gridare, spiegare l’osso rotto, il male della spalla capitato in mezzo a noi, tra te e te da sempre: netto, alto, totem d’urla».

Questo è uno dei monologhi che Raimondi ha scritto, perché alcuni silenzi diventino parole per “mettere in ascolto” altre donne e uomini. Soltanto vive è “il frutto di un ascolto di storie lette sui giornali” e poi vivificato dal confronto con alcune donne a cui aveva presentato i primi componimenti.

Il poeta ha indagato tra le pieghe dell’anima così come tra il misterioso processo della creazione artistica: ha infatti presentato agli studenti l’insuperabile lirica di Ungaretti, Il porto sepolto, invitando gli alunni a pensare di leggere quei versi per creare una specie di sceneggiatura cinematografica.

Come una sorta di Virgilio li ha anche condotti tra le vie di una “Milano malabolgia fatta a cerchio”, la Milano dov’è nato e che lo ispira di più di un bel paesaggio da cartolina, la Milano delle panchine e delle corti dietro un “malchiuso portone”. Raimondi è un poeta laureato in filosofia, ma non sarebbe stato criticato da Montale, perché non si muove solo “tra le piante dai nomi poco usati”, ma parla anche dei giardini e delle “magnolie strette nei cortili”, come i limoni montaliani.

Milano diventa anche un luogo di memoria, della memoria del padre, crocevia d’incontri di anime e parole. Anche la poesia può diventare un metaforico luogo d’incontro di anime e parole: a questo proposito il poeta ha proposto una sorta di gioco: ha detto agli studenti d’immaginare di trovarsi nel difficile contesto di una dittatura, dove sono proibiti i vocaboli della libertà e dell’immaginazione, li ha poi invitati a cercare in silenzio, nel “porto sepolto” della loro interiorità, un’unica parola che salverebbero, che custodirebbero e che difenderebbero anche da un ipotetico dittatore, una parola significativa e importante per loro. Dopo un breve momento di riflessione, alcuni hanno svelato il segreto: c’è chi ha pensato a “partita”, “immaginazione”, “sentinella”…

Voi quale vocabolo scegliereste?

Una parola che dovremmo valorizzare in tante circostanze e alla fine di quest’incontro è “grazie”, grazie a Stefano Raimondi per le due ore di “poesia vissuta”, dopo le tante liriche lette solamente sui libri.

S.C.